sabato 8 dicembre 2012

IL MIO PARADISO

Dopo più di due mesi eccomi a scrivere nuovamente un post. Ci sono molte differenze contenutistiche con i precedenti e anche come stato d'animo… Sicuramente più digressioni tratte da scritti antichi, ma le trovo estremamente affascinanti. Lascio a voi il giudizio,e spero di scriverne presto degli altri!

La parola paradiso, vocabolo antico, più o meno consumato dalla storia, che nel corso dei secoli ha acquisito mutevoli significati, trova in se stessa, insieme alla parola inferno, la forza di racchiudere il senso della vita di ogni essere umano. Non solo metaforicamente o come prospettiva che conduce alla morte, ma anche quale situazione del presente, quel presente che affrontiamo giorno dopo giorno. Chi non ha mai patito un dolore così intenso o una disperazione tale da pensare che l’esistenza non valesse la pena di essere vissuta? Chi, invece, non ha mai provato una gioia così forte da esclamare di sentirsi al settimo cielo? La vita può essere riassunta, senza però volerla forzare o impoverirla eccessivamente, come una bilancia che costantemente ondeggia tra ciò che desideriamo e ciò che ci viene offerto, tra ciò che fa la nostra felicità e ciò che ci riduce a essere semplici spettatori di avvenimenti, che molte volte avremmo preferito evitare.

Il termine “paradiso” fu usato per la prima volta, secondo alcune testimonianze antiche, dallo storico Senofonte, il quale intendeva riferirsi a un famoso giardino appartenuto all’epoca all’imperatore persiano. Il greco racconta che questo sovrano, trovandosi a regnare su territori aridi e desertici, pensò di abbellire una zona posta su un altopiano, già ricca di vegetazione, per renderla ancora più lussureggiante. Con finalità politiche, voleva dimostrare al proprio popolo come la capacità ordinatrice dell’uomo fosse in grado di dominare sul caos del mondo. Da qui trae origine il potere e la forza di plasmare il proprio destino, ma anche l’etimologia “paràdeisos”, per indicare appunto quello che successivamente sarà denominato come il giardino dell’Eden, il luogo utopico per eccellenza, caratterizzato da una vita semplice e felice sottratta al tempo, alla sofferenza e alla vecchiaia.

La parola paradiso diventa, pertanto, una strada realizzabile: l’aspirazione di ogni individuo a credere di poter trovare una soddisfazione piena. La parola inferno, in questo modo, si contrappone come possibilità offerta all’uomo: aspirare a cambiare ciò che ci circonda e che troviamo sterile e improduttivo oppure accettare di compartecipare a tale situazione. Compartecipare significa, quindi, acconsentire a vivere un’esistenza "dannata". Infatti, a ragione, sarebbe più comodo lasciarsi trasportare dalla corrente. Ma qui interviene quello che secondo me è il più grande dei miracoli, e mi riferisco a quell’energia, a quella forza che ci conduce alla ricerca del bene e della conoscenza, che ci indirizza verso l’altro e ci vieta di chiuderci nell'egoismo. Questo uscire da noi stessi prende il nome di “amore”. Infatti, parafrasando lo svizzero Jung: l’amore va dal cielo all’inferno, riunisce in sé il bene e il male, il sublime e l’infinito. Tocca a noi scegliere da che parte stare!


Essendo affascinato dal pensiero antico, ecco un’altra digressione tratta da Platone. Contemporaneo di Senofonte, il filosofo greco racconta nel Simposio che in un tempo remoto gli uomini erano individui completi, e non avevano bisogno di nulla. Inoltre, non v'era distinzione tra maschi e femmine, ma Zeus, invidioso di tale perfezione, decise di spaccare questi esseri in due. Da allora nacque “il desiderio d’amore gli uni per gli altri, per riformare l’unità della nostra antica natura, facendo di due esseri uno solo”. In questo modo, ad ogni individuo ne corrisponderebbe un altro che lo completa, e fino a quando le due metà non si ricongiungeranno, saranno destinate a cercarsi  per tutta la vita. Una volta, però, ritrovata l’altra parte, questi individui se ne innamoreranno e non sapranno più viverne senza. Prosegue il filosofo che i due formeranno un’anima sola, un tutto nel quale “il desiderio di questo tutto e la sua ricerca ha il nome di amore”.

In conclusione, paradiso e amore sono strettamente collegati. Come le metà non possono vivere indipendentemente, perché se si ama davvero il paradiso può essere sperimentato già su questa terra. Quando si ama, si soffre, questo è vero, e le maggiori sofferenze provengono proprio dal non essere ricambiati o dal perdere la persona amata. Questa, però, diventa la prova che nell’amore sono contenuti i due opposti: il paradiso e l’inferno. Il racconto di Platone sarà anche un mito, ma l’amore è reale, è tangibile, e l’amore che nutro per la “parte mancante di me” è una ferita sempre aperta in attesa che "l'altra carne viva" possa rimarginarla. Il mio paradiso è colei senza la quale mi manca l’aria, che ha l'energia delle parole con le quali può gettarmi in un enorme e profondissimo abisso, che ha la forza del gesto col quale può innalzarmi oltre le stelle. Il mio paradiso è il sogno scaltro e proibito di cogliere la mela nel giardino dell’Eden per porgertela nuovamente… Il mio paradiso sei solo tu, amore!