venerdì 3 maggio 2013

FAVOLA - parte prima

Questo post è differente dai precedenti perché si tratta del racconto di una favola, ma non come la intendiamo generalmente: è esposta, invece, “al contrario”, nel senso che il principe non arriva alla fine per salvare la principessa, ma entra in scena molto presto. Inoltre, è indispensabile il vostro apporto per completare il racconto, perché il finale, contenuto in uno dei prossimi post, terrà in considerazione i commenti che lascerete, quindi non abbiate timore di aggiungere il vostro.

C’era una volta…
una bellissima bambina, dai capelli nero carbone e dal viso chiarissimo, nata in un florido regno. Era la figlia del re e della regina e viveva in un enorme castello; vi erano più di cento stanze, alte torri difensive, un fossato tutt'intorno e un enorme ponte levatoio. La fortezza era posta su un’altura, e attraverso le merlature si distingueva il paesaggio circostante: i campi coltivati, le abitazioni dei contadini, i prati, un fiume che scorreva lento e un fittissimo bosco. In lontananza si scorgevano alte montagne rocciose, che d’inverno si coprivano del bianco candore della neve.

Per la piccola principessa il mondo fuori dalle mura era un luogo fatato. Osservava tutto con grande meraviglia e stupore. Cresceva felice e non le mancava nulla. Studiava ballo, sapeva cantare, si divertiva a suonare il piano e dipingeva all'aria aperta nelle stagioni calde. Col freddo preferiva, invece, passare lunghi pomeriggi nell'enorme biblioteca del castello, a leggere favole e avventure e a sognare storie d’amore. Aveva innumerevoli passioni e la regina seppe darle un’educazione così come si conviene a una persona del suo rango. Caratterialmente era sempre allegra, solare ma non riusciva a stare ferma per troppo tempo, incorrendo così nelle ire del re.

Come ogni anno, in un giorno di maggio, quando la natura cambia aspetto e si riveste di mille colori, al castello fu organizzato un grandioso spettacolo dove potevano esibirsi i migliori artisti provenienti da ogni parte del regno e anche da fuori. La principessa, ormai adolescente, rimase colpita da un giovane che suonava una ghironda. Era alto, snello, dai capelli castani e dagli occhi marroni, con la pelle chiara e un bellissimo sorriso. Si informò dal ciambellano e venne a sapere che era un principe di un reame confinante. Al ballo della stessa sera i due ragazzi si parlarono e, sulle scale del castello, quando non era ancora scoccata la mezzanotte, si diedero il primo bacio.

I due innamorati non riuscivano a vivere l’uno senza l’altra, cosicché il giovane principe prese dimora in un sontuoso palazzo poco distante, al confine del bosco. Trascorrevano le giornate cavalcando per il regno ed esplorando luoghi sempre più lontani; un giorno arrivarono su una spiaggia dove videro per la prima volta l'immensità dell'oceano. Un'altra volta, invece, salirono sulla sommità del monte più alto, dove vi era un bellissimo lago creato dall'acqua di una cascata. La maggior parte delle volte, però, ai due giovani bastava veramente poco per essere felici, anche solo sdraiarsi su un prato a fissare le nuvole o a contare le stelle della notte.

Passarono alcuni anni e l'amore crebbe insieme a loro. Iniziarono a parlare di una vita insieme, di una famiglia, del futuro, di quando sarebbero divenuti re e regina e avrebbero unito i due reami. Però, un brutto giorno il principe fu richiamato nel suo regno in quanto il re versava in gravi condizioni di salute. I due giovani iniziarono, allora, a scriversi: parlavano del loro amore, delle giornate che trascorrevano lente e dell’assenza che l’altro portava nelle proprie vite. La principessa, nel frattempo, soffrendo la solitudine, iniziò a uscire dal castello, travestendosi e cambiando di aspetto. L'aiutava cavalcare libera all'aria aperta per riscoprire tutti i luoghi condivisi con l’amato. Alcune guardie, però la riconobbero quando una sera rientrò al castello, bagnata fradicia per colpa di un improvviso temporale estivo. La voce iniziò a diffondersi, tanto che il re ordinò alla principessa di non varcare più le alte mura.


Poco tempo dopo arrivò nel regno un misterioso indovino, del quale si diceva che possedeva anche incredibili poteri magici. Si fermò a cenare in una locanda del paese, dove conversò con alcuni boscaiolo e contadini. Venne a conoscenza della bizzarra storia della principessa che, dopo la partenza dell’amato, cavalcava malinconica nella pianura fino al limitare del bosco. Pensò, allora, che chi fosse riuscito a conquistare la mano della ragazza sarebbe diventato il padrone di quel ricchissimo regno. Preparò, così, un espediente per tentare di farla uscire dal castello: diffuse la voce che avrebbe esaudito un unico desiderio in tutto il regno, destinato alla sola persona che, raccontandogli la storia della sua vita, lo avrebbe commosso.

L’indovino conosceva bene che la principessa aveva un unico punto debole: non era capace di provare gratitudine per gli avvenimenti importanti della sua vita; nel suo cuore, infatti, viveva un senso di insoddisfazione e di inquietudine. La ragazza venne ben presto a sapere della presenza di questo potente indovino, perché le notizie passavano rapide nel regno. Dopo aver riflettuto accuratamente, o almeno questo faceva credere a se stessa, una sera, durante il cambio della guardia, uscire dal castello nascosta in un mantello nero in groppa al suo cavallo. Corse veloce finché non giunse nel luogo dove risedeva l’indovino, che la stava aspettando.

La tenda era situata nel mezzo di una radura. Poco vicino vi era acceso un fuoco e delle fiaccole erano disseminate qua e là; non c’era nessuno nelle vicinanze. La principessa legò le briglie del cavallo ad un albero e si avvicinò all'ingresso facendo dei profondi respiri per vincere la paura. Quando entrò vide un luogo davvero sorprendente, luminosissimo con lampade d’oro, finissimi arazzi e tappeti sul pavimento; nel centro un tavolo con sopra una sfera di cristallo. Dietro c’era l’indovino che la guardò e le sorrise. La paura si trasformò in una sensazione di sicurezza e la giovane si accostò risoluta, sedendosi su un piccolo pouf rosso.

L’uomo prese la parola: «Ti stavo aspettando». La giovane, meravigliata, rispose: «Come può essere?». L’indovino, che fece finta di non aver sentito, continuò e le chiese di parlargli dei suoi sogni. La principessa disse allora: «Ho già in mente quale sarà il desiderio che voglio esprimere, quello di poter raggiungere la persona che amo»; ma l’indovino la interruppe bruscamente, ribadendo che voleva sapere dei suoi sogni non ancora realizzati. L’odore dell’incenso si fece penetrante e la giovani cominciò a parlare con più disinvoltura: raccontò di lei, del suo mondo, della sua adolescenza, del padre e della madre e della perenne insoddisfazione che provava, come se le mancasse qualcosa che forse non dipendeva dall'amore, o forse sì? Le ore trascorsero veloci e iniziò a sentirsi confusa mentre fuori albeggiava.

Al castello, intanto, un’ancella, che non aveva trovato la principessa nel suo letto, diede subito l’allarme. Il re inviò i suoi uomini più fidati in ogni parte del regno. L’indovino, allora, continuò: «Io posso esaudire il tuo desiderio; prima, però, mi devi dimostrare che questo desiderio valga più della tua vita attuale». La prese per mano e la condusse fuori dalla tenda. Non si trovavano più nella radura a poche miglia dal castello, ma su un sentiero montano dal quale si scorgeva un enorme e fastoso palazzo. Il paesaggio era davvero bello e la principessa era sicura di quello che stava facendo, adesso voleva andare fino in fondo. Ma più ascoltava la voce dell’indovino, che ormai si era impadronito di ogni suo pensiero, e più l'amore per il principe sembrava affievolirsi e diventare soltanto un ricordo, sempre più lontano...

GIORNI

Questo post riporta tre storie d’amori infelici, concluse in tragedia. Ogni storia d’amore segue la stessa parabola che il sole compie in un “giorno”: nasce all'alba, arriva allo zenit a mezzogiorno e tramonta poi al sorgere della notte. Così un “giorno” può durare ventiquattro ore oppure una vita intera.

Ci sono giorni in cui il tempo sembra fermarsi, in cui ogni cosa scorre via senza lasciare traccia, giorni in cui il sole sorge ma le mattine sono adombrate da nubi fitte e grigie. Ci sono giorni in cui il mondo appare sbiadito, percorso da un fremito che offusca gli occhi con lacrime appena accennate, come quelle piogge leggere degli inizi di settembre. Ci sono giorni, ancora, che per rabbia vorremmo cancellare o non aver mai vissuto, giorni in cui la vita assume il sapore del tempo trascorso, tempo felice o almeno tempo sereno. Dante, in proposito, fa pronunciare a un personaggio della Divina Commedia una frase che tutti noi abbiamo ascoltato almeno una volta, che nasconde una profonda verità soprattutto in alcuni periodi della vita; il personaggio è Francesca da Rimini e la frase è: “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria”.

Il quinto canto dell’Inferno, forse uno dei più conosciuti, racconta la storia di due amanti, Paolo e Francesca, sorpresi dal marito di lei nonché fratello di lui, Gianciotto Malatesta, mentre si scambiavano un bacio. Per questo furono trucidati, colpevoli di tradimento. La loro storia si riflette nel racconto che in quel momento stavano leggendo: quello dell’amore tra Lancillotto e la regina Ginevra, moglie di Artù. Dante, commosso a sua volta nell'ascoltare l’esposizione dei fatti dalla voce della giovane, aggiunge che nemmeno la morte è riuscita a separarli tanto era grande e violenta la loro passione. Il poeta, implicitamente, fa richiamo a uno dei concetti cardini della teologia cristiana dell’epoca, quello secondo cui tutto l’amore che ciascuno dona all'altro tornerà indietro sempre e con la stessa forza, ma in tempi e forme diversi.

È un pensiero che mi è sempre appartenuto, quello di credere che l’amore ricevuto sia la conseguenza di quello che doniamo, così come avviene per un’immagine riflessa nello specchio. Chiaramente può accadere anche il contrario, che siamo noi a ricambiare il sentimento. Importante è il gioco di rifrazione che permette all'amore di crescere, almeno finché la superficie del vetro non viene segnata da un’incrinatura. Un’antica e famosissima leggenda racconta di un ragazzo bello e orgoglioso, di nome Narciso, che rifiutò l’amore della ninfa Eco. Nella versione latina, Nemesi, figlia di Oceano e di Notte, intervenne per punire il giovane: così, mentre era nel bosco, Narciso ebbe sete e si accovacciò per bere in una pozza ma, appena vide la sua immagine riflessa, si innamorò del ragazzo che in quel momento lo stava fissando. Solo dopo si accorse che era la sua immagine proiettato nell'acqua e, comprendendo che non avrebbe mai potuto essere ricambiato, si lasciò morire struggendosi inutilmente.

Amare se stessi, seguire il proprio ego, conduce la persona alla solitudine e alla meschinità. Amare oggetti, concetti o ideali, per quanto nobile sia, non incrementa nessuno scambio affettivo diretto, perché solo un uomo e una donna possono contraccambiare e fecondare la crescita del sentimento. Solitamente alla fine dei precedenti post ho lasciato spazio alla riflessione personale, incentrata sulle mie esperienze presenti o passate. Qui voglio, però, raccontarvi un’altra storia d’amore, questa volta meno conosciuta delle precedenti, una leggende che trae origine nel XIII secolo, quando la Spagna, governata dalla Corona di Aragona, cercò di porre fine alle invasioni mussulmane provenienti dal Nord Africa. Il racconto è ambientato in una cittadina dei Pirenei di nome Teruel, situata oggi a metà strada tra Madrid e Barcellona.


Viveva a quel tempo un giovane contadino, Juan de Marcilla, che si innamorò follemente della figlia di un ricco nobile, Isabel de Segura. Il padre, venuto a conoscenza del loro amore, contrastò questo sentimento a causa della povertà di lui. Ma Juan non si arrese e decise di partire dopo aver ottenuto una promessa: entro cinque anni sarebbe tornato con una ricchezza superiore a quella del padre di Isabel per essere degno di sposare l’amata, in caso contrario l’avrebbe lasciata andare. Sfidò la guerra e la morte, viaggio per tutta l’Europa lavorando incessantemente, e prima del tempo stabilito tornò carico di monete d’oro e di oggetti preziosi. Isabel, purtroppo, era già andata in sposa a un altro uomo, il potente signore di Albarracín, padrone di alcuni territori confinanti a Teruel.

Juan, non potendo accettare la situazione, si recò al palazzo per chiedere un ultimo bacio all'amata, ma Isabel si rifiutò, volendo restare fedele al vincolo matrimoniale. Lui, per il dolore, morì sul colpo. Durante i funerali, una giovane donna si avvicinò al feretro e lo baciò, era Isabel che, straziata dal rimorso, chiedeva perdono all'amato. Cadde anche lei a terra, senza più vita. Dopo qualche secolo, furono rinvenute le tombe dei due amanti, sepolti nella chiesa di San Pietro a Teruel. Un influente notaio dell’epoca, Yagüe de Salas, portò alla luce nello stesso istante un manoscritto che raccontava la storia di Juan e Isabel; si pensò, allora, di costruire un monumento funebre con le statue dei due giocani che si tenevano per mano, per ricordare al mondo intero il destino di un amore negato.

Ho voluto riportare queste tre storie, quella di Paolo e Francesca, quella di Narciso e quella di Juan e Isabel, non per mostrare come può essere crudele il destino degli amanti, che può indirizzare gli uomini verso l’infelicità o la morte, ma per riflettere sul fatto che le immagini riflesse nello specchio dell’amore non sempre hanno la possibilità di accrescersi in bellezza. L’amore romantico ci spinge a credere che questo sentimento è più grande della morte, è più forte del dolore o della sofferenza, è più potente della tristezza o della distanza, eppure è la stessa morte a segnare, in queste storie, una distanza non più colmabile, della quale resta soltanto il ricordo. L’amore diventa così distruzione, negando la sua essenza più profonda. L’amore non vive soltanto di passione o di istinto, ma di ciò che rende l’uomo o la donna possessori e costruttori della propria vita. Ci sono giorni in cui il tempo sembra fermarsi, quelli sono i giorni nei quali hai smarrito la tua strada, la destinazione ultima del tuo cuore.