Ci sono
giorni in cui il tempo sembra fermarsi, in cui ogni cosa scorre via senza
lasciare traccia, giorni in cui il sole sorge ma le mattine sono adombrate da
nubi fitte e grigie. Ci sono giorni in cui il mondo appare sbiadito, percorso
da un fremito che offusca gli occhi con lacrime appena accennate, come quelle piogge
leggere degli inizi di settembre. Ci sono giorni, ancora, che per rabbia
vorremmo cancellare o non aver mai vissuto, giorni in cui la vita assume il
sapore del tempo trascorso, tempo felice o almeno tempo sereno. Dante, in
proposito, fa pronunciare a un personaggio della Divina Commedia una frase
che tutti noi abbiamo ascoltato almeno una volta, che nasconde una profonda verità soprattutto in alcuni periodi della vita; il personaggio è Francesca da
Rimini e la frase è: “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice
nella miseria”.
Il quinto
canto dell’Inferno, forse uno dei più conosciuti, racconta la storia di due
amanti, Paolo e Francesca, sorpresi dal marito di lei nonché fratello di lui,
Gianciotto Malatesta, mentre si scambiavano un bacio. Per questo furono
trucidati, colpevoli di tradimento. La loro storia si riflette nel racconto che
in quel momento stavano leggendo: quello dell’amore tra Lancillotto e la regina
Ginevra, moglie di Artù. Dante, commosso a sua volta nell'ascoltare l’esposizione
dei fatti dalla voce della giovane, aggiunge che nemmeno la morte è riuscita a
separarli tanto era grande e violenta la loro passione. Il poeta,
implicitamente, fa richiamo a uno dei concetti cardini della teologia cristiana
dell’epoca, quello secondo cui tutto l’amore che ciascuno dona all'altro tornerà indietro sempre e con la stessa forza, ma in tempi e forme diversi.
È un
pensiero che mi è sempre appartenuto, quello di credere che l’amore ricevuto sia la conseguenza di quello che doniamo, così come avviene per
un’immagine riflessa nello specchio. Chiaramente può accadere anche il
contrario, che siamo noi a ricambiare il sentimento. Importante è il gioco di
rifrazione che permette all'amore di
crescere, almeno finché la superficie del vetro non viene segnata da un’incrinatura. Un’antica
e famosissima leggenda racconta di un ragazzo bello e orgoglioso, di nome
Narciso, che rifiutò l’amore della ninfa Eco. Nella versione latina, Nemesi,
figlia di Oceano e di Notte, intervenne per punire il giovane: così, mentre era
nel bosco, Narciso ebbe sete e si accovacciò per bere in una pozza ma, appena
vide la sua immagine riflessa, si innamorò del ragazzo che in quel momento lo
stava fissando. Solo dopo si accorse che era la sua immagine proiettato nell'acqua e, comprendendo che non avrebbe mai potuto essere ricambiato, si
lasciò morire struggendosi inutilmente.
Amare se
stessi, seguire il proprio ego, conduce la persona alla solitudine e alla
meschinità. Amare oggetti, concetti o ideali, per quanto nobile sia, non
incrementa nessuno scambio affettivo diretto, perché solo un uomo e una donna possono
contraccambiare e fecondare la crescita del sentimento. Solitamente alla fine
dei precedenti post ho lasciato spazio alla riflessione personale, incentrata
sulle mie esperienze presenti o passate. Qui voglio, però, raccontarvi un’altra
storia d’amore, questa volta meno conosciuta delle precedenti, una leggende che
trae origine nel XIII secolo, quando la Spagna, governata dalla Corona di
Aragona, cercò di porre fine alle invasioni mussulmane provenienti dal Nord
Africa. Il racconto è ambientato in una cittadina dei Pirenei di nome Teruel,
situata oggi a metà strada tra Madrid e Barcellona.
Viveva a quel
tempo un giovane contadino, Juan de Marcilla, che si innamorò follemente della
figlia di un ricco nobile, Isabel de Segura. Il padre, venuto a conoscenza del
loro amore, contrastò questo sentimento a causa della povertà di lui. Ma Juan
non si arrese e decise di partire dopo aver ottenuto una promessa: entro cinque
anni sarebbe tornato con una ricchezza superiore a quella del padre di Isabel
per essere degno di sposare l’amata, in caso contrario l’avrebbe lasciata
andare. Sfidò la guerra e la morte, viaggio per tutta l’Europa lavorando
incessantemente, e prima del tempo stabilito tornò carico di monete d’oro e di
oggetti preziosi. Isabel, purtroppo, era già andata in sposa a un altro uomo,
il potente signore di Albarracín, padrone di alcuni territori confinanti a Teruel.
Juan, non
potendo accettare la situazione, si recò al palazzo per chiedere un ultimo
bacio all'amata, ma Isabel si rifiutò, volendo restare fedele al vincolo matrimoniale. Lui, per il dolore, morì sul colpo. Durante i funerali, una giovane
donna si avvicinò al feretro e lo baciò, era Isabel che, straziata dal rimorso,
chiedeva perdono all'amato. Cadde anche lei a terra, senza più vita. Dopo qualche
secolo, furono rinvenute le tombe dei due amanti, sepolti nella chiesa di San
Pietro a Teruel. Un influente notaio dell’epoca, Yagüe de Salas, portò alla
luce nello stesso istante un manoscritto che raccontava la storia di Juan e
Isabel; si pensò, allora, di costruire un monumento funebre con le statue dei
due giocani che si tenevano per mano, per ricordare al mondo intero il destino
di un amore negato.
Ho voluto
riportare queste tre storie, quella di Paolo e Francesca, quella di Narciso e
quella di Juan e Isabel, non per mostrare come può essere crudele il destino
degli amanti, che può indirizzare gli uomini verso l’infelicità o la morte, ma
per riflettere sul fatto che le immagini riflesse nello specchio dell’amore non
sempre hanno la possibilità di accrescersi in bellezza. L’amore romantico ci
spinge a credere che questo sentimento è più grande della morte, è più forte
del dolore o della sofferenza, è più potente della tristezza o della distanza,
eppure è la stessa morte a segnare, in queste storie, una distanza non più
colmabile, della quale resta soltanto il ricordo. L’amore diventa così
distruzione, negando la sua essenza più profonda. L’amore non vive soltanto di
passione o di istinto, ma di ciò che rende l’uomo o la donna possessori e costruttori della
propria vita. Ci sono giorni in cui il tempo sembra fermarsi, quelli sono i
giorni nei quali hai smarrito la tua strada, la destinazione ultima del tuo
cuore.
Ritengo che la leggenda di Narciso sia quella con l'insegnamento più attuale e più tristemente vero...
RispondiEliminaIl falso "amore" che mette al centro il proprio ego è fine a sè stesso e porta all'aridità dell'anima, l'individuo non si rende conto di cio' che di buono lo circonda, (Narciso non si accorge della povera ninfa Eco che lo ama) e lo calpesta concentrandosi solo sulla propria immagine fino all'esasperazione esaltata dell'egoismo (tutto deve ruotare attorno a me)... e purtroppo questa strada alla fine non puo' che portare all'auto-distruzione...del sè tanto caro e "amato".