venerdì 3 maggio 2013

GIORNI

Questo post riporta tre storie d’amori infelici, concluse in tragedia. Ogni storia d’amore segue la stessa parabola che il sole compie in un “giorno”: nasce all'alba, arriva allo zenit a mezzogiorno e tramonta poi al sorgere della notte. Così un “giorno” può durare ventiquattro ore oppure una vita intera.

Ci sono giorni in cui il tempo sembra fermarsi, in cui ogni cosa scorre via senza lasciare traccia, giorni in cui il sole sorge ma le mattine sono adombrate da nubi fitte e grigie. Ci sono giorni in cui il mondo appare sbiadito, percorso da un fremito che offusca gli occhi con lacrime appena accennate, come quelle piogge leggere degli inizi di settembre. Ci sono giorni, ancora, che per rabbia vorremmo cancellare o non aver mai vissuto, giorni in cui la vita assume il sapore del tempo trascorso, tempo felice o almeno tempo sereno. Dante, in proposito, fa pronunciare a un personaggio della Divina Commedia una frase che tutti noi abbiamo ascoltato almeno una volta, che nasconde una profonda verità soprattutto in alcuni periodi della vita; il personaggio è Francesca da Rimini e la frase è: “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria”.

Il quinto canto dell’Inferno, forse uno dei più conosciuti, racconta la storia di due amanti, Paolo e Francesca, sorpresi dal marito di lei nonché fratello di lui, Gianciotto Malatesta, mentre si scambiavano un bacio. Per questo furono trucidati, colpevoli di tradimento. La loro storia si riflette nel racconto che in quel momento stavano leggendo: quello dell’amore tra Lancillotto e la regina Ginevra, moglie di Artù. Dante, commosso a sua volta nell'ascoltare l’esposizione dei fatti dalla voce della giovane, aggiunge che nemmeno la morte è riuscita a separarli tanto era grande e violenta la loro passione. Il poeta, implicitamente, fa richiamo a uno dei concetti cardini della teologia cristiana dell’epoca, quello secondo cui tutto l’amore che ciascuno dona all'altro tornerà indietro sempre e con la stessa forza, ma in tempi e forme diversi.

È un pensiero che mi è sempre appartenuto, quello di credere che l’amore ricevuto sia la conseguenza di quello che doniamo, così come avviene per un’immagine riflessa nello specchio. Chiaramente può accadere anche il contrario, che siamo noi a ricambiare il sentimento. Importante è il gioco di rifrazione che permette all'amore di crescere, almeno finché la superficie del vetro non viene segnata da un’incrinatura. Un’antica e famosissima leggenda racconta di un ragazzo bello e orgoglioso, di nome Narciso, che rifiutò l’amore della ninfa Eco. Nella versione latina, Nemesi, figlia di Oceano e di Notte, intervenne per punire il giovane: così, mentre era nel bosco, Narciso ebbe sete e si accovacciò per bere in una pozza ma, appena vide la sua immagine riflessa, si innamorò del ragazzo che in quel momento lo stava fissando. Solo dopo si accorse che era la sua immagine proiettato nell'acqua e, comprendendo che non avrebbe mai potuto essere ricambiato, si lasciò morire struggendosi inutilmente.

Amare se stessi, seguire il proprio ego, conduce la persona alla solitudine e alla meschinità. Amare oggetti, concetti o ideali, per quanto nobile sia, non incrementa nessuno scambio affettivo diretto, perché solo un uomo e una donna possono contraccambiare e fecondare la crescita del sentimento. Solitamente alla fine dei precedenti post ho lasciato spazio alla riflessione personale, incentrata sulle mie esperienze presenti o passate. Qui voglio, però, raccontarvi un’altra storia d’amore, questa volta meno conosciuta delle precedenti, una leggende che trae origine nel XIII secolo, quando la Spagna, governata dalla Corona di Aragona, cercò di porre fine alle invasioni mussulmane provenienti dal Nord Africa. Il racconto è ambientato in una cittadina dei Pirenei di nome Teruel, situata oggi a metà strada tra Madrid e Barcellona.


Viveva a quel tempo un giovane contadino, Juan de Marcilla, che si innamorò follemente della figlia di un ricco nobile, Isabel de Segura. Il padre, venuto a conoscenza del loro amore, contrastò questo sentimento a causa della povertà di lui. Ma Juan non si arrese e decise di partire dopo aver ottenuto una promessa: entro cinque anni sarebbe tornato con una ricchezza superiore a quella del padre di Isabel per essere degno di sposare l’amata, in caso contrario l’avrebbe lasciata andare. Sfidò la guerra e la morte, viaggio per tutta l’Europa lavorando incessantemente, e prima del tempo stabilito tornò carico di monete d’oro e di oggetti preziosi. Isabel, purtroppo, era già andata in sposa a un altro uomo, il potente signore di Albarracín, padrone di alcuni territori confinanti a Teruel.

Juan, non potendo accettare la situazione, si recò al palazzo per chiedere un ultimo bacio all'amata, ma Isabel si rifiutò, volendo restare fedele al vincolo matrimoniale. Lui, per il dolore, morì sul colpo. Durante i funerali, una giovane donna si avvicinò al feretro e lo baciò, era Isabel che, straziata dal rimorso, chiedeva perdono all'amato. Cadde anche lei a terra, senza più vita. Dopo qualche secolo, furono rinvenute le tombe dei due amanti, sepolti nella chiesa di San Pietro a Teruel. Un influente notaio dell’epoca, Yagüe de Salas, portò alla luce nello stesso istante un manoscritto che raccontava la storia di Juan e Isabel; si pensò, allora, di costruire un monumento funebre con le statue dei due giocani che si tenevano per mano, per ricordare al mondo intero il destino di un amore negato.

Ho voluto riportare queste tre storie, quella di Paolo e Francesca, quella di Narciso e quella di Juan e Isabel, non per mostrare come può essere crudele il destino degli amanti, che può indirizzare gli uomini verso l’infelicità o la morte, ma per riflettere sul fatto che le immagini riflesse nello specchio dell’amore non sempre hanno la possibilità di accrescersi in bellezza. L’amore romantico ci spinge a credere che questo sentimento è più grande della morte, è più forte del dolore o della sofferenza, è più potente della tristezza o della distanza, eppure è la stessa morte a segnare, in queste storie, una distanza non più colmabile, della quale resta soltanto il ricordo. L’amore diventa così distruzione, negando la sua essenza più profonda. L’amore non vive soltanto di passione o di istinto, ma di ciò che rende l’uomo o la donna possessori e costruttori della propria vita. Ci sono giorni in cui il tempo sembra fermarsi, quelli sono i giorni nei quali hai smarrito la tua strada, la destinazione ultima del tuo cuore. 

1 commento:

  1. Ritengo che la leggenda di Narciso sia quella con l'insegnamento più attuale e più tristemente vero...
    Il falso "amore" che mette al centro il proprio ego è fine a sè stesso e porta all'aridità dell'anima, l'individuo non si rende conto di cio' che di buono lo circonda, (Narciso non si accorge della povera ninfa Eco che lo ama) e lo calpesta concentrandosi solo sulla propria immagine fino all'esasperazione esaltata dell'egoismo (tutto deve ruotare attorno a me)... e purtroppo questa strada alla fine non puo' che portare all'auto-distruzione...del sè tanto caro e "amato".

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