lunedì 24 settembre 2012

IL TUO NOME

Questo è il post più difficile che ho scritto fino ad ora e sul finale ne comprenderete il motivo. È l’ultimo di una serie di otto scritti che lascio in custodia in questo blog, spero solo che i prossimi, quando arriveranno, mi ritrovino col sorriso sulle lebbra e non più con gli occhi pieni di lacrime. Faccio presente che quello che segue sono osservazioni personali, estremamente soggettive, ed è per questo che ripeto più volte frasi del tipo “credo che” oppure “almeno così io la penso”.

Dopo sette scritti, ecco che metto mano all’ottavo… Ho pensato di porre qui il punto conclusivo, almeno per il momento. La mia mente inizia a non essere più lucida, è stanca, mentre le mie emozioni cominciano a confondersi tra loro. Credo che la vita ha bisogno di periodi di silenzio, di periodi nei quali prestiamo ascolto alla voce del nostro cuore. Ma non solo, noi esistiamo anche nelle mille voci di parenti e amici che ci incoraggiano e ci sostengono, molte volte contraddicendosi. Dopo la domanda arriva inesorabile una risposta, per questo è indispensabile mettersi in un atteggiamento di apertura, anche nella sofferenza. Ogni chiusura indica una morte della propria interiorità, incapacità di adattarsi alla vita che continua a cambiare sotto i nostri occhi, giorno dopo giorno.

Inizialmente avevo considerato il numero sette come punto d’arrivo, perché il sette è il numero della creazione, è il numero della perfezione, della virtù, della meditazione, del silenzio, dell’equilibrio, è il numero che segna il passaggio dal noto all’ignoto e rappresenta il completamento di un ciclo. Dio creò l’universo e poi si riposo consegnando all’uomo la sua storia. Siamo noi a costruire il nostro futuro senza, tuttavia, conoscerne la strada. Mi sono reso conto che tutto ciò che il sette rappresenta non mi appartiene per intero, per quello che sono in questo determinato momento storico. Ordine, equilibrio, perfezione sono destinazioni lontane, sono paradisi tropicali dove non posso approdare. Il numero sette, per quanto mi affascini, resta in parte fuori di me.

Credo che aggiungere un “+ 1” non sia un atto di superbia. L’otto mi ispira fiducia perché esprime un desiderio di concretezza. Inoltre, nell’antica mitologia greca era il numero che si rapportava a Zeus, signore del cielo e della pioggia; quel dio che dall’alto del monte Olimpo, le cui cime erano nascoste da spesse nubi, governava il mondo con i fulmini, simbolo della luce della ragione ma anche delle forze più terribili della natura. L’otto è il numero dell’infinito, un infinito che può condurre alla pazzia per chi cerca di comprenderlo, ma che rende saggio l’uomo capace di accettare i limiti e il mistero della vita. Rappresenta anche il momento di raccogliere ciò che abbiamo seminato.

E poi l’otto mi riporta alla mente i primi anni universitari, quando seguivo le lezioni di filosofia morale. Ricordo ancora il racconto di come Nietzsche formulò la dottrina dell’eterno ritorno, quella teoria secondo la quale ogni evento che noi viviamo l’abbiamo vissuto già infinite volte, e lo vivremo infinite volte nel futuro. Di conseguenza, tutto il bene e tutto il male torneranno sempre allo stesso modo. Più o meno questa è la storia che il filosofo racconta in uno dei suoi scritti, “Ecce homo”: si trovava a passeggiare a Sils Maria, in Alta Engadina, un giorno dell’agosto del 1881. Mentre costeggiava il lago di Silvaplana a “6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo”, circondato da folti boschi, fu folgorato dall’immagine straordinaria della natura, di quel bacino circolare, e lo colse quel pensiero “abissale” che “eternamente ruota la ruota dell’essere”.


L’otto rappresenta, così, l’indeterminatezza e la fragilità dell’esistenza umana, quel principio secondo cui non tutte le volte che crediamo di fare il bene stiamo realmente facendo il bene, e non tutte le volte in cui crediamo di fare il male stiamo facendo il male. Non potremo mai essere giudici di questo mondo né tantomeno giudici di noi stessi. L’otto simboleggia anche il tempo che scorre inesorabile nella clessidra, nell’attesa del momento in cui la sabbia finirà. Una mano esterna, allora, la girerà per rimetterla in movimento. Tutti noi abbiamo bisogno di una mano che ci aiuti, che ci permetta di ritornare a vivere. Il silenzio è proprio il periodo in cui la sabbia si è bloccata nella parte inferiore. Che brutta sensazione sarebbe restare posati sul fondo per sempre.

Il tempo che ricomincia a scorrere è sempre il nostro tempo. La sabbia è sempre la nostra sabbia. Possiamo illuderci che qualcosa sia cambiato, ma la realtà delle cose resta la stessa. Cosa fare allora? Probabilmente, almeno così io la penso, utilizzare quel periodo di silenzio ad un unico scopo: guardarsi indietro per scoprire quanto bene c’è stato fino a quel punto. Perdonarsi e accettarsi per quelli che si è, perdonare coloro che ci hanno fatto del male. Riformulare, di conseguenza, le proprie aspirazioni, perché se siamo giunti in un questo luogo morto della nostra esistenza ci sarà stato un motivo. Non bisogna basarsi, però, solo sui propri istinti ma anche su quanto di buono è presente in noi. Perché la realtà è azione, l’azione è vita e la vita ci permette di costruire la nostra felicità o almeno cioè che ci potrebbe avvicinare ad essa.

L’amore, in tutte le sue forme, sarà l’unico metro di giudizio della mia vita perché è ciò che mi ha donato felicità. L’amore è un otto perché comprende due cerchi che si uniscono in un punto e restano eternamente legati, come la frase di Beethoven ripresa in quel film che tanto ti piaceva: “Eternamente tuo, eternamente mia, eternamente nostri”. Questo è l’amore per me, fatto di alti e bassi, di addii e ritorni, di passione e gioia, di rabbia e serenità, di dolore e felicità. L’amore è ritornare, senza essersi mai realmente allontanati. L’amore è preservare, anche nella tempesta più tremenda, la fiamma di un’esile candela, perché possa tornare a divampare col sereno.

Bisogna, però, avere il coraggio di amare veramente, perché per essere amore deve avere la capacità di rendere libero l’altro, nella sua totalità. A volte nella vita si perde, questo lo so, è un rischio che si deve correre. Ed è per questo che decisi di lasciarti andare via quella sera di settembre, sotto il tuo portone, mentre tu parlavi e mi si spezza il cuore. Resto seduto qui ancora un po’, in riva alla scogliera, e guardo la tempesta abbattersi sul mare, sperando che presto la bonaccia arriverà e che saremo ancora lì. Perché se è amore non si è mai interrotto. Perché se è amore non potrai permettere a qualcuno di distruggere quello che abbiamo costruito insieme. Perché l’essenza del mio amore, come dicevo prima, porta il tuo nome: libertà.

2 commenti:

  1. vorrei essere un poeta per commentare con parole adatte questo bellissimo post...ma non lo sono, posso solo scrivere: mi dispiace!

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  2. Bellissimo questo post! Prima di tutto è bella questa riflessione "Ogni chiusura indica una morte della propria interiorità, incapacità di adattarsi alla vita che continua a cambiare sotto i nostri occhi, giorno dopo giorno." Evidenzia come la stasi non sia mai vera stasi ma accumulo di energia psichica che non riesce a raggiungere ancora una precisa méta. Dice di come la vita cambi di continuo e di come noi dobbiamo adattarti a questo cambiamento nella bellezza che tutto questo porta con sé. Poi l'8, l'infinito, che è anche il mio numero preferito, per ragioni molto simili a quelle che hai evidenziato. Ho apprezzato molto l'idea sull'amore. Anch'io credo che sia libertà, in un modo molto particolare però. Sartre diceva che noi "vogliamo essere amati da una libertà e pretendiamo poi che questa libertà come libertà non sia più libera" e voleva proprio dire che noi vogliamo essere scelta assoluta dell'Altro ma scelta nella Libertà. - Flavia

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