domenica 16 settembre 2012

IN PUNTA DI PIEDI

Ecco il mio primo post! E' uno scritto che è nato così, di getto, su una riflessione che porto dentro da qualche giorno. Lo pubblico perché rappresenta parte del mio stato emotivo e, come una pagina iniziale di un diario, lo conservo geloso in questo spazio. Spero vi piaccia!

Il fatto è che noi nasciamo alla rovescia… Inizia tutto là, il giorno del parto nel quale nostra madre ci mette al mondo. Veniamo fuori dal ventre ma non in punta di piedi, pronti a muoverci con le gambe per terra e la schiena ritta… Siamo curiosi, vogliamo uscire dapprima con la testa, per vedere cosa ci aspetta! Come Eva che, esortata dal serpente, coglie il frutto dall’albero, così noi non sappiamo resistere alle tentazioni e apriamo immediatamente gli occhi guardando una stanza che nemmeno riusciamo a mettere a fuoco. C’è ansia di vivere, c’è fretta di venire alla luce. Non siamo in grado di goderci il giorno “1”, dopo che per nove mesi siamo stati comodamente cullati nel grembo materno. E così incomincia la nostra avventura, privati del cordone ombelicale e traumatizzati dal contatto col mondo.

Cresciuti, ma ancora bambini, siamo attratti da ciò che provoca stupore in noi, meraviglia e stimola la nostra immaginazione. Forgiamo il nostro carattere al contatto col mondo e il mondo che ci circonda a nostra immagine. Vediamo solo quello che vogliamo vedere, sentiamo solo quello che ci va di sentire, e proviamo avversione verso chi ci impedisce di vivere secondo le nostre fantasie. Cresciamo ancora con la fretta di diventare adulti, cresciamo senza comprendere che la verità di ogni attimo sta nel modo in cui si vive ogni istante. Andiamo a scuola, facciamo amicizia e, senza neanche accorgercene, il nostro spazio vitale si dilata. Il contatto col mondo si inasprisce, ci sfugge, ci lega a sé. Diventiamo incapaci di comprendere l’esistenza perché la nostra forza, la nostra immaginazione pian piano lasciano spazio alle nostre emozioni. Continuiamo a sentirci alla rovescia, come quando siamo nati, e allora ci ribelliamo.

Ecco, però, che una ragazza ci sorride, ci guarda negli occhi, negli stessi occhi della nostra infanzia. Per la prima volta vediamo in profondità, oltre l’apparenza. Scopriamo la bellezza di uno sguardo, di un sorriso, di una carezza, di un abbraccio. Il mondo, che da tanto tempo ci sembrava estraneo, adesso si trasforma in un paradiso terrestre. Ci sentiamo leggeri e sembra che tutto si possa realizzare… Il mondo è nostro e lei è la nostra felicità! Ma come esiste il paradiso, così esiste l’inferno. Senza l’inferno non ci sarebbe un metro di giudizio. Ci ritroviamo spinti e gettati in mezzo alle fiamme, disperati, senza più l’amore… Cadiamo senza che nessuno ci abbia insegnato a rialzarci, mentre il tempo accelera e l’essere si perde. Passano secondi, minuti, ore, giorni, mesi, anni e stiamo lì, immobili. Ancora la stessa sensazione, ci sentiamo a testa in giù e tutto appare sottosopra. La vita ci sta sempre più stretta.


Ci accorgiamo di essere diventati adulti, di vivere in quell’età che da piccoli immaginavamo la strada su cui viaggia la libertà, e con essa la felicità. La strada delle nostre aspirazioni e dei nostri sogni. La realtà, però, è ben diversa. È costruzione e sudore, è sofferenza e perdono, è lavoro e dolore. Come dopo un’estate calda arriva l’autunno, così il sole lascia il cielo alle piogge che tutto lavano e spazzano via… In un attimo può crollare ciò che credevamo più saldo. Muoiono le persone e portano con sé pezzi del nostro cuore; altre, invece, vanno via e chiudono una porta dell’anima senza lasciare la chiave per riaprirla. Il momento delle somme arriva, forse, solo alla fine del nostro viaggio. La vecchiaia diventa il periodo dei ricordi e della solitudine, probabilmente l’età nella quale ogni cosa perviene ad un proprio equilibrio. Forse però… forse saremo ancora alla rovescia, a testa sotto, come dei bimbi che giocano nelle braccia del padre.

Posso solo sperare che quel giorno, quando arriverà, non mi trovi solo. Immagino al mio fianco quella giovane ragazza che, guardandomi come la prima volta negli occhi, mi faccia riscoprire ancora la bellezza di uno sguardo, di un sorriso, di una carezza, di un abbraccio. Che possa giungere, come una preghiera, alla mèta con me per cogliere insieme il frutto di quell'albero. Perché con lo stesso sguardo di un bimbo appena nato, appannato dalle lacrime, sperare che il paradiso sia simile a quello sguardo innamorato nel quale ci ritroveremo insieme a ballare in punta di piedi.

2 commenti:

  1. Bellissimo! Continua così!

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  2. La prima cosa che ho pensato nel leggere questo post è stata il paragone con Benjamin Button, con quel vivere al contrario, poi ho capito che intendevi qualcosa di leggermente diverso: un mondo che guardiamo per la prima volta nella nascita da una prospettiva che adesso ci sembra lontana e che torna, come una reminescenza poetica, alla mente quando qualcuno riesce a dischiudere in noi la meraviglia. Chi prova quella sensazione non può che serbarla gelosamente, come il proprio piccolo angolo di paradiso. Molto bello.

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