domenica 23 settembre 2012

PERDERSI

Il mio settimo post è più introspettivo dei precedenti. Spero che non vi annoi per questo.

Avrò avuto circa sette o otto anni, lo ricordo ancora come se fosse stato ieri. Passeggiavo mano nella mano con mia madre, accanto a lei c’era mio padre. Era un sabato pomeriggio di novembre, forse degli inizi di dicembre. C’era molta gente per strada. Fu un attimo, lasciai la presa di mia madre per avvicinarmi a una vetrina illuminata. Vi erano abiti da uomo esposti: un maglione richiamò la mia attenzione, aveva impresso sopra una figura che adesso purtroppo non riesco a ricordare. Fu un attimo, mi votai e tra la folla non riconobbi più le sagome dei miei genitori. Un sobbalzo trasalì dallo stomaco e un tremore si impossessò di me. Mi giravo e rigiravo, mi sentivo abbagliato, caddi nel panico perché non sapevo come tornare a casa. D’improvviso, però, riconobbi la voce di mia madre che mi chiamava: “Fai presto che dobbiamo andare”. Si erano fermati due negozi più avanti e avevano continuato a controllarmi con lo sguardo.

Da quel giorno è rimasta in me questa paura di trovarmi impreparato nei confronti delle situazione che si sarebbero presentate nel corso della vita. Inizialmente erano piccoli fatti, a casa, con gli amici. I bambini quando giocano sono soliti costruire mondi immaginari, fantastici; io ogni volta che provavo a inventare una storia, questa doveva aveva un doppio finale, una conclusione d’emergenza. Oppure quando vedevo un film creavo trame parallele, possibili vie di fuga per il protagonista. Crescendo la fantasia ha lasciato il posto alla realtà, e controllare questa realtà è diventato una sorta di gioco, o meglio quello che avevo imparato dal gioco adesso lo adattavo alla realtà. Doveva essere tutto in ordine, perfetto, come dicevo io.

Lungo gli anni questa mania del controllo è diventata un’ossessione. Ogni situazione doveva avere un apposito piano “b”, un piano alternativo. Pensavo e ripensavo nel tentativo di comprendere più velocemente le meccaniche della vita, per essere un passo avanti agli altri, per non essere colto alla sprovvista. Diventare sveglio e intelligente erano le mie priorità. Comprendere i massimi sistemi del mondo un mio dovere. Mi sentivo preparato e sapevo che non avrei mai fallito: la mia filosofia si stava affinando sempre più.


Chiaramente ho applicato questa specie di tattica anche all’amore. Il problema non era l’autenticità dei miei sentimento, che sono sempre stati reali, ma la probabile evoluzione della vita di coppia. Avere tutto sotto controllo era diventato un obbligo perché per amore tutto doveva essere “ancora più perfetto”. Organizzavo ogni circostanza nei minimi particolari, la mia amata si doveva sentire speciale perché io mi volevo sentire speciale. Non mi accontentavo e perfino un viaggio era studiato con minuzia. Ad esempio, per arrivare dall’aeroporto all’hotel calcolavo almeno due modi possibili. Controllavo il peso e la grandezza delle valigie per avere un margine in caso di necessità. Imparavo a memoria il tragitto e i monumenti da visitare, mi annotavo bar, ristoranti e locali. In questo modo costruivo una storia d’amore che non poteva fallire, ma nel frattempo imprigionavo l’altra parte nelle mie ossessioni.

Ed eccomi qua. Nel tentativo di controllare la mia vita ho imparato che la vita fa sempre a modo suo. Quando sa di essere ingannata risponde con mosse altrettanto imprevedibili che ti stendono lasciandoti al tappeto. Ma la cosa peggiore è che per controllare la mia vita mi sono dimenticato di viverla. Per paura di soffrire sono diventato causa di sofferenza. Molto probabilmente l’ossessione di dominare ogni istante era già insita in me, forse alcuni avvenimenti ne hanno solo accelerato il corso, ma più probabilmente è stato uno scudo per difendermi dalla sofferenza. E la peggiore sofferenza è il distacco.

Da oggi ho deciso di vivere ogni attimo nel profondo. Non guardare più alla forma ma sentirmi libero di essere. Vivere significa anche questo: accettare la sofferenza e il dolore, come la gioia e la felicità, perché sono i due lati della stessa moneta. Da oggi voglio perdermi in ogni attimo, nel bene e nel male, per stringerlo a me e mantenerlo il più possibile. "Tutti commettiamo errori, nessuno è perfetto" mi ripetevano quand’ero piccolo. Spero solo che non sia troppo tardi, che la vita mi conceda una seconda occasione, che gli errori commessi per paura o per amore siano ferite rimarginabili, anche se hanno lasciato profonde cicatrici. Forse è solo una vana speranza. Adesso ho soltanto voglia  di perdermi, ma ne sarò ancora capace? Perché già mi sono perso in passato, quando credevo che tutto era perfettamente sotto controllo.

2 commenti:

  1. Imparare dagli errori fatti e farne esperienza è già una grande conquista che molti non capiscono... e comunque sia, quando qualcosa non va per il "verso giusto" non è detto che la "colpa" (se di "colpa" si tratta) sia tutta a proprio carico.
    La vita in sè è generosa (anche quando non sembra) e da' sempre una "seconda possibilità"! Di questo ne sono certa!
    Un abbraccio
    Rosy

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  2. Questo mi ha fatto pensare alla costruzione del momento perfetto della protagonista di un libro di Valéry. Nell'ossessione di costuire tutto, ogni minimo particolare, alla fine, perdi anche il sogno, l'irreale e la fantasia da cui tutto questo era partito. Sono convinta che la scrittura sia fantastica proprio perché ti permette di vivere tutte quelle alternative senza lo scomodo di subirne le conseguenze. Forse in lei hai trovato proprio questa risposta. Sempra bravo! - Flavia

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